Das Paradies und die Peri partecipa di una natura ibrida raramente resa. Non un’opera, non un concerto, non un oratorio. L’originalità e la grandezza di questo ‘poema in musica’ stanno nella capacità di Schumann di aver inventato per esso un regno anfibio, un equilibrio sperimentale e perfetto tra poesia e musica, reso fascinosamente instabile dalle tensioni che intercorrono tra la pura composizione musicale e le braci ardenti della sottostante materia teatrale. Una doppia polarità che trova eco nella duplicità dell’orizzonte culturale che permea tutta l’opera - l’Occidente europeo del suo autore e dei suoi destinatari e il vasto Oriente iranico della vicenda-, e nella natura doppia della sua protagonista, la Peri, creatura divisa tra il Cielo e la Terra.
La natura anfibia dell’opera, la visione non scontata del ponte che in Schumann lega il misticismo islamico e quello cristiano, si rivolge nell’adattamento scenico di Anagoor in un’inedita meditazione sulla caduta e sulle possibilità di redenzione dell’umano. Una versione che non dimentica, ma anzi parte dal contesto della creazione dell’opera (le dolorose vicende umane dell’autore), il tempo storico in cui si esprime (il doloroso secolo dell’imperialismo europeo), il tempo attuale che noi viviamo e che dei ponti tra i mondi vede solo macerie. Nel volo della Peri, compiuto tra Cielo e Terra, tra fiamme che consumano e lacrime che salvano, e sotto la superficie rosea della serenità anelata, brilla una sofferenza cupa.
Dopo le prime fortunatissime esecuzioni di questo “oratorio profano per persone serene” dirette dall’autore stesso (4 e 11 dicembre 1843), nella primavera 1844 troviamo Schumann in una delle sue più acute crisi, tanto da fargli quasi perdere la parola e le capacità motorie. Un episodio che anticiperà il crollo del febbraio 1854 quando tenterà il suicidio gettandosi nel Reno. Morirà solo due anni dopo dopo essere stato internato nel manicomio di Endenich a Bonn.
Quella “serenità” si rivela piuttosto un’aspirazione e una sosta momentanea, in una psicologia febbrilmente creativa quanto fragile. Nella composizione la redenzione della Peri è accompagnata dalle grida di giubilo della protagonista che tuttavia nel contesto del trionfo finale paiono semplicemente grida senza gioia, tra squilli di tromba che suggeriscono più un lamento che l’annuncio della gloria. Qualcosa è comunque irrimediabilmente perduto.
All’inizio dell’opera incontriamo una Peri in lacrime alle porte del Paradiso, bandita. L’Angelo di Allah invita questa creatura sospesa tra Cielo e Terra a cercare la chiave dell’Eden nel mondo. In tre tappe successive, tre voli sull’Oriente islamico (India, Egitto e Siria), la Peri si precipita negli inferni degli uomini, cercando per l’Eterno doni raccolti tra le più profonde e dolorose esperienze umane. Ma né il martirio per una causa ideale, né il sacrificio per amore saranno accolte come prove sufficienti. Solo la compassione come veicolo ‘vivo’ della coscienza può rappresentare la chiave per aprire il giardino del Paradiso.
Persia-India, Egitto, Siria sono le tre grandi regioni su cui vola la Peri per tre volte in rapida successione, a disegnare una geografia ideale del molteplice mondo islamico: l’oriente indopersiano, l’Africa musulmana, il medioriente mediterraneo. Tre sono le prove a cui è sottoposta, tre come quelle degli eroi bambini delle fiabe germaniche, come le tentazioni di Cristo, come il triplice viaggio ultraterreno di Dante. Tre, secondo l’estetica del frammento, le sezioni dell’opera di Schumann che pure fluiscono senza interruzioni - in questo consiste la grande innovazione - come un unico viaggio.
Per il primo e per il terzo capitolo, Anagoor ha effettuato un lungo periodo di shooting viaggiando tra Iran, Golfo Persico, Turchia e confini siriani. I temi del martirio e della compassione si rispecchiano rispettivamente in un grande catalogo di ritratti di giovani incontrati durante il percorso, accostati alle effigi diffuse in tutto il paese dei martiri della rivoluzione islamica e delle guerre, e nei volti di bambini iraqeni e siriani esuli in Iran.
L’installazione è anche l’occasione per raccontare un mondo, quello del Medio Oriente, giovane e vivo, rivelandone un volto troppo spesso schiacciato dallo sguardo deformante dell’Occidente, tra i due estremi dell’esotismo e dell’islamofobia. Tutti i ritratti, girati in slow motion, appaiono come dagherrotipi in fantasmatico movimento.
Insieme al catalogo dei volti sono state filmate centinaia di effigi di martiri esposte, stampate ed affisse o dipinte, lungo le strade e le piazze principali della capitale, Tehran, come di ogni città Iraniana, dove murales giganti glorificano questi esempi eroici di amore e sacrificio per la patria. Ogni grande città, paese o piccolo villaggio dell’Iran ha offerto il sangue di migliaia di giovani figli alla rivoluzione e alle guerre successive. La propaganda insiste sulla ricompensa in cambio del martirio: il Paradiso.
Questa sequenza di effigi offre tuttavia un solo commovente contenuto: il numero delle morti. Prodotte dall’onda entusiasta che rovesciò lo Shah alla fine degli anni ’70, causate dalla repressione successiva all’instaurazione del nuovo regime, provocate dall’invasione dell’Iran da parte delle forze armate irachene negli anni ’80, generate dall’odio per la morsa dell’imperialismo occidentale, suggerite dall’attrazione islamica per il martirio.
Il segmento egiziano dell’opera è girato nelle sale del Museo Egizio di Torino. La Peri, alla ricerca della chiave per il Paradiso, giunge in un Egitto sconvolto dalla peste. Con esplicito riferimento alla corsa al Louvre di Jules et Jim di Truffaut di fronte alle opere della tradizione europea, una coppia di giovani cerca rifugio tra gli idoli e i sarcofagi dei re dell’antica civiltà africana.
Al cospetto di colossi e altri reperti archeologici, i due innamorati, entrambi di ascendenze africane, accostano i propri volti alle effigi dei defunti e i propri corpi vivi alla ricchezza dell’arte funeraria egizia, trovando nel Museo un’arca in cui nascondersi, un rifugio, un’oasi di protezione da un orizzonte esterno desertico ed avvelenato.
Il nome luminoso di Allah è sospeso, al di là del velo - protetto dall’hijab, il paravento che protegge il pudore dell’unione matrimoniale del Profeta -, al di sopra di uno spazio spoglio. È un luogo della meditazione, decorato solamente da un grande tappeto persiano (un enorme e consunto lilian rosa), a cui si ascende per mezzo di una scalinata che collega platea e scena, esattamente come all’esterno del Teatro Massimo la grande scalinata monumentale collega la città al proprio tempio dell’arte. Così il teatro disegna lo spazio sacro ma laico evocato da Schumann, luogo dello spirito universale, uno spazio che sappia abbracciare tutti gli occidenti e gli orienti del mondo.
L’opera inizia con una grande eclissi: un secondo diaframma, nero e quadrato, occulta il nome di Allah, spingendo fuori dalla scena, fuori dall’Eden, la Peri, il coro, l’orchestra e tutti gli spettatori. Solo allora può avere inizio la comparsa di un pallido riverbero dell’Eterno, il suo riflesso umano, la creazione con i suoi limiti particolari e le sue sofferenze e le sue commoventi bellezze. Sul diaframma affiorano immagini, prima il volto di Robert Schumann, l’autore stesso ritratto con la sua famiglia in un fiume (il Reno?) di lacrime, il sogno della serenità infranto, poi progressivamente un mondo in/a frammenti in un caleidoscopio di situazioni che come il propagarsi di un incendio accompagnerà incessantemente il flusso dell’esecuzione musicale.
DAS PARADIES UND DIE PERI
music by Robert Schumann
conductor
Gabriele Ferro
stage director, sets, costume and video
Simone Derai
artistic project
Anagoor
dramaturg
Peter Kehr
lighting designer
Fabio Sajiz
stage director assistants
Marco Menegoni, Monica Tonietto
cast
Peri, Sarah Jane Brandon
Tenor, Maximilian Shmitt
Mezzo-sopran, Atala Schock
Bariton, Albert Dohmen
Jüngfrau, Valentina Mastrangelo
choir master
Ciro Visco
orchestra and choir
Teatro Massimo
Teatro Massimo production 2019
video concept, direction and editing
Simone Derai
director of photography
Giulio Favotto
set designer assistant
Freddy Mason
costume assistant
Massimo Simonetto
cinematography
Giulio Favotto, Emanuele Confortin, Simone Derai, Marco Menegoni
color correction and post producton
Giulio Favotto
cultural mediator
Emanuele Confortin, Anita Mousavian
video production assistant
Annalisa Grisi
team manager
Michele Mele
italian translation of “libretto”
Simone Derai
Rosalba Ruggeri